Pronipoti di Marte. Dare un nuovo significato alla marzialità

Questo periodo porta con sé, probabilmente anche per il concetto di marzialità, una possibilità di evoluzione.

I Greci definivano il dio Ares come brutale, assassino e soprattutto βροτολοιγός, distruttore di uomini. Rappresentava il concetto della ferocia della guerra, del tributo di sangue che essa richiede, della totale distruzione della comunità umana che essa porta. Un dio spaventoso quanto inevitabile.

I Romani sostituirono Marte ad Ares. Marte, con Rea Silvia era il padre mitologico di Romolo e Remo: i Romani si percepivano discendenti di stirpe divina, di un dio che originariamente era il dio della fertilità, dell’abbondanza.

Infatti i Romani si rivolgevano a Marte definendolo come lucente, perfetto, protettore dei boschi. Ma anche ovviamente colui che va in battaglia. E’ interessante notare che, con tratto indolentemente italico, fosse definito anche incostante e vendicatore.

La guerra è guerra, certo. Ma il dio che ne rappresenta il concetto si trasforma. Non è un dio feroce. Piuttosto è un dio che vorrebbe star tranquillo, farsi due passi in campagna ed eventualmente corteggiare qualche bella fanciulla. La guerra è un crudele dovere, una sorta di occupazione o di risposta ad un’offesa. Ma appena si può, si torna, incostantemente, all’ozio.

Questo, grosso modo, è il senso della marzialità che ha plasmato la mentalità non solo degli Italiani ma di mezzo mondo in questi duemilaottocento anni.

La Storia è una costellazione di eventi traumatici. Una scia di sangue e soprusi che attraversa i secoli. Finché regge, in gran parte dell’occidente, si vive in una bolla in cui la bellicosità prende forme altrettanto crude, ma non militari. Altrove non è così, nella beata indifferenza di chi, nonostante tutto, ha lo stomaco pieno.

Traduciamo budo (武道) come via marziale. Si sono scritte tante pagine su questi ideogrammi. Ne abbiamo parlato anche noi. Di come 武 sveli la volontà di spegnere una sommossa una guerra con le armi. Di una semantica che vede la guerra come uno strumento di pace. Il combattimento come ultima risorsa.

Se poi questa interpretazione si fonde con le interpretazioni che vanno per la maggiore quando si parla di Aikido come “arte della pace”, in che senso è marziale chi sale su un tatami? Tanto più che quella frasetta che gira negli ambienti è volutamente ambivalente: Aikido wa ichiban budo desu 合気道は一番武道です: l’Aikido è prima di tutto un’arte marziale/L’Aikido è la migliore arte marziale…

Che cos’è la marzialità? E come si è evoluta in questa parentesi del Covid-19 che sta gradualmente chiudendosi nei prossimi tempi?

Siamo pronipoti di Ares? Sanguinosi distruttori delle altrui articolazioni, perché in fondo “si viene in Dojo per sudare e non per fare le ballerine”?

Siamo bipolari pronipoti di Marte? Quando ci parte l’embolo meniamo come fabbri per adagiarci nel pacifismo di facciata e nell’incostante attaccamento ad una disciplina?

Siamo marzialisti nel senso che siamo diventanti più o meno inconsapevolmente soldatini che hanno bisogno della carezza e della frusta di un generale, perché è più comodo copiare una personalità che averne una propria? E, nel caso, perché combattiamo battaglie e guerre altrui?

Forse sarebbe il caso di ricominciare ad essere marzialisti perché è a…marzo che rinasce la vita, con la primavera che misteriosamente e immancabilmente lega il cielo e la terra in una promessa di vita.

La nostra pratica può avere mille etichette, tutte valide. Può essere tradizionale, può essere dinamica, può essere sincera. Può essere tante cose.

Ma fondamentalmente deve essere viva, aperta, accogliente, capace di aiutare se stessi e gli altri a rimuovere le paure. Capace di dialogo. Capace di azione e di fantasia. Capace di spegnere la guerra comprendendo il conflitto e di alimentare le occasioni di crescita feconda. Nel reale come nel virtuale.

In fondo lo pensava già Omero nel suo Inno ad Ares:

Ascoltami, protettore dei mortali, donatore di baldanzosa giovinezza
e riversa dall’alto sulla mia vita la tua luce mite
e la tua forza marziale, affinché io possa
scacciare da me la viltà odiosa
e piegare nella mia mente la passione ingannatrice dell’anima
e frenare la travolgente forza della furia che spinge
a gettarmi nella mischia crudele; ma tu invece il coraggio,
o beato, concedimi, e di rispettare le inviolabili leggi di pace
sfuggendo al tumulto dei nemici e all’inesorabile morte.

Disclaimer: Foto by Miti tratta da Unsplash

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